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giovedì 2 novembre 2017

In quel di New York - Giorno 1

E siamo tornati. Come largamente anticipato qui, dal 11 Ottobre 2017 al 26 Ottobre 2017, il sottoscritto ha realizzato il suo sogno nel cassetto: andare a New York e vivere la città dove sono ambientate praticamene tutte le grandi storie Americane. Ora che siamo tornati a pieno regime con la vita di sempre, è il caso di ricominciare a scrivere qualcosa e pubblicare nuovamente degli articoli. Come primo nuovo passo ho pensato: "perché non cominciare riportando foto e testimonianze dell'esperienza a New York?". E direi che idea migliore di questa non ci può essere.


Se il buongiorno si vede dal mattino, devo dire che l'esperienza nella Terra del Petroldollaro comincia con un bel: "Minchia, cheggiornata dimmerda".

Pur non essendoci mai stato prima d'ora, l'America - grazie a quello che sappiamo dai film - è rinomata per essere un paese molto costoso, soprattutto in fatto di voli e residenze, sia che si parli di un ostello, che di un appartamento o un albergo: il soggiorno costa, bisogna metterselo in testa. Ergo, doveva essere applicata la sacra legge del "prima prenoti, meno paghi"; avendo anche dei sempre più numerosi impegni con il lavoro, ad inizio del 2017 decisi che bisognava agire e prenotare tutto il prenotabile - così da organizzarmi con ferie e permessi - oltre che scegliere il periodo di più bassa stagione, giusto per stare sull'accattonaggio e risparmio agonistico andante. Così, il 10 Gennaio 2017, aereo e ostello vengono prenotati. A Marzo 2017, invece, si fa il passaporto. Per il momento, i preparativi finiscono qui. O almeno, così credevo. 

Nella penultima settimana di Settembre 2017, i dipendenti di Air Berlin cominciano uno sciopero massiccio; siccome è da un po' di tempo che le compagnie aeree in generale non godono di grande fama e professionalità, nessuno si preoccupa e tutti credono nel lieto fine e che la compagnia si rimetterà in sesto coi pagamenti dei dipendenti. E invece, il lieto fine non solo non arriva, ma tutto va così in vacca da lasciare tutti nella merda e con le palle girante. Il 28 Settembre 2017 - data che il sottoscritto non scorderà mai per gli infarti conseguiti che manco Homer Simpson - Air Merdin Berlin dichiara il fallimento. Tutti i voli vengono cancellati con la promessa di un rimborso a partire da Novembre 2017 (speriamo, che se no, faccio fare a tutti quelli della compagnia la fine di Rorschach in Watchmen). 


Quello stesso giorno, ricevo una mail dalla compagnia presso cui ho prenotato il biglietto aereo che mi informava della questione, dicendo di recarmi immediatamente nei loro uffici per trovare una soluzione alternativa. La mia paura era quella non tanto di dover prendere un nuovo biglietto aereo, quanto più di spendere una cifra esagerata per la tratta. Ormai la possibilità di cancellare la prenotazione dell'ostello era passata da un bel pezzo e inoltre mi ero già organizzato con permessi e ferie, quindi non c'era più la possibilità di riorganizzare il viaggio: non c'era scelta, o si andava, o si andava. Ergo, dovevo mettermi il cuore in pace, pazientare per il rimborso e intanto sborsare altri soldi per un nuovo biglietto; ma, come dicevo, la mia paura era quella di trovare a pagare cifra astronomiche per cui non ero disposto a spendere. Se quello scenario si fosse realizzato, beh, mi sarei trovate tra le mani un esercito di gatte da pelare. 

Ancora oggi non so quale divinità mi abbia ascoltato (forse quelle che non ho dissacrato accostando il loro nome ad animali di bassa lega) ma la situazione, in un certo senso, si è ribaltata a mio favore. Per la stessa cifra, sono riuscito ad acquistare un volo Air France diretto da Milano Malpensa al JFK Airport di New York, il che non era per niente male per due motivi:

  1. Da dove abito io, raggiungere Malpensa - soprattutto con i mezzi - è decisamente più facile. Basta prendere il treno per Milano Cadorna e poi il Malpensa Express. La prima tratta con Air Berlin partiva invece da Milano Linate e dovevo cambiare due treni e prendere pure la bus navetta per  raggiungere l'aeroporto. Emmenomale che non avevo ancora preso i biglietti per raggiungere Linate
  2. Con la prima tratta era previsto un cambio a Düsseldorf e un attesa di circa due ore prima del volo che mi avrebbe condotto nella Grande Mela. Il volo con Air France, invece, era un diretto, quindi niente cambi e cazzeggio assicurato per dieci ore. O almeno, era questo quello che speravo. Dopo quanto successo, ormai ero in allerta su tutto. 
Dopo la disavventura con Air Berlin (maledetta sia ancora) ho passato gli ultimi giorni in…diciamo “strane condizioni”. Le digestione mi veniva faticosa, il sonno c’era solo sulla carta e generalmente avevo del nervosismo che serpeggiava in tutto il corpo. Quando si tratta di cose personali, ammetto che sono fatto strano. Indipendentemente dal fatto che sia qualcosa di serio o superficiale, per capire qual era il problema mi è sempre bastato parlarne con qualcuno; non era necessario che l’interlocutore ascoltasse, mi bastava un essere umano munito di due orecchie funzionanti e una testa in grado di fare ogni tanto su e giù in segno di approvazione. Alla fine era semplice ansia da prestazione. Quell'ansia che arriva quando un momento tanto sognato e voluto finalmente è alle porte. In più, essendo questo il mio primo viaggio completamente da solo, penso che tutti i problemi di sonno e stomaco siano state conseguenze somatiche all'ansia del poter sbagliare qualcosa. C’era sempre sostanzialmente un dubbio: sono io che ho fatto tutto giusto, oppure mi sono occupato di tutti i preparativi in modo superficiale? La risposta, suggeritami anche dagli amici, fu: "Simone, piantala di farti problemi e vai a vivere il tuo sogno". E così è stato.

Paradossalmente, il sogno comincia con una sveglia alle 04:00. Colazione, treno delle 5:20 per Milano Cadorna, Malpensa Express delle 6:27 e alle quasi 07:00 sono all'aeroporto. Arrivato al Terminal 1, si comincia tutta la fiera dei preparativi cui:

  • Cambio dei soldi da euro a dollari;
  • Imbarco della valigia;
  • Raggiungimento del gate con i controlli del caso;
  • Pit-stop alla dogana per far vedere che il mio passaporto non è stato comprato su eBay;
  • Arrivo al gate con piccola attesa.

Alle 08:45 concludo tutta la tiritera di cui sopra. L’imbraco è previsto per le 09:30 e la partenza per le 10:25. Passo tutto il tempo prima dell’imbarco un po’ assorto nei miei pensieri, un po’ come se al comando della mia testa ci fosse qualcun altro e mi fossi seduto sul sedile posteriore semplicemente a guardare. Ancora mi faceva strano essere in partenza per New York. Era una cosa che, per tanto tempo, era rimasta sono della materia indecifrabile e personale di cui sono fatti i sogni. Ora però stavo diventando qualcosa di fottutamente concreto e che avrei visto e toccato con mano. Nonostante ciò, ancora non riuscivo ad abituarmi all'idea. Forse solo la Signorina di Liberty Island sarebbe riuscita a convincermi. 

Una volta poggiate le chiappe sull’aereo, vengo sommerso da una valanga di comodità. Elenchiamole:

  • Cuscino, coperta e maschera per dormire;
  • Salviettine umidificate calde;
  • Sedile con terminale incorporato con cui giocare, vedere film e serie tv e controllare lo stato del volo;

  • Durante la partenza, le varie procedure da seguire quando si viaggia in aereo vennero spiegate tramite esaustivo video senza che le hostess si dovessero mettere ad agitare le braccia come se stessero ballando la macarena;
  • Pranzo GRATIS con caffè/piscio di gatto statunitense

Vero e proprio lusso. Tra i film il più gettonato di tutti: Baywatch. La cosa curiosa è che, per quello che riuscivo a sbirciare dal mio sedile, la maggior parte dei passeggeri vicino a me lo stavano guardando: mandando avanti d’un fottio le scene e finendolo tipo in 40 minuti. Mi chiedo come non abbia vinto l’Oscar. Per la serie la situa era decisamente più allo sbando, dato che per i serial c’erano disponibili episodi a caso di stagioni a caso. Alcune però avevano disponibile una intera stagione, come per esempio il The Flash della CW, che aveva tutti gli episodi della terza stagione.

Ma comunque, tutto ciò è stato scritto per amor di completezza. In verità non ho guardato (sull’aereo almeno) nessuna delle cose elencate, visto che nella mia infinita genialità, avevo lasciato le cuffie nel bagaglio a mano. Grande Simò. A pranzo concluso, optai per una visita al cesso per sgranchirmi le gambe e poi, se Odino vuole, farsi una pennica. In tutto ciò, le hostess passarono anche con un foglietto da compilare per coloro che viaggiano per la prima volta negli USA, giusto per essere in regola con la dogana Americana. 

Il sonno purtroppo va e viene, e quando viene, si dorme più che male. Non sono nuovo ai viaggi lunghi; nel 2012 mi sparai diciassette ore di bus per raggiungere la Calabria. Ma con questo viaggio, è venuto fuori che lo sono per quelli in aereo. In otto ore di volo, scopro che il mio limite di sopportazione – per l’aereo almeno – è di sette qualcosa. A un ora scarsa dall’atterraggio mi viene voglia di sclerare e cerco di dormire in tutte le posizioni possibili: addirittura prendo il cuscino fornito dalla compagnia e lo appoggio sul monitor del sedile, appoggiandoci a mia volta la faccia sperando di soffocare e perdere conoscenza. Non succede. Anzi, tutto quello che ottengo è il piagnisteo di tutti i marmocchi di tre mesi o poco più a bordo. Penso di aver disgraziatamente passato empaticamente la mia voglia di disperarmi a quei bimbi.

Raramente, il tempo viene ammazzato prendendo appunti di questo viaggio, ri-leggendo Preacher, mangiando snack e altro (buon) cibo spazzatura rifilatomi (GRATIS) dall'aereo e parlando occasionalmente con il mio vicino di bordo alla mia destra. A causa della stanchezza e di un perenne mal di testa che mi ha accompagnato per tutto il tragitto, non ho la lungimiranza di chiedergli come si chiama; però gli consiglio di vedersi Logan e accetta di buon grado. Non so dire se gli sia piaciuto o meno; di sicuro, era molto meglio dell’altra sua alternativa. Dopo otto ore di agonia, l’America decide di mettermi ancora in difficoltà, facendo le seguenti cose. 

Come prima cosa, l’aereo finisce dentro una piccola turbolenza e, per evitare di schiantarci al suolo, il pilota è costretto a fare la manovra da me soprannominata “scala a chiocciola”, per poi finalmente atterrare. Il punto è che questa manovra dura circa sei minuti e, vedendo quanto avevo sofferto in precedenza, questi sei minuti sembrano sei fottutissimi anni. Una volta atterrati, cominciano poi i problemi più grandi: la dogana, la metro e la banca. 


La Dogana

Il problema della dogana sono stati sostanzialmente due: la fila composta da oltre un centinaio di persone di nazionalità diverse che volevano entrare, per motivi vari, negli USA. Il numero così elevato era dovuto a: una decina di famiglie Italiane qui per trovare parenti assortiti, due scuole della Tedeschia qui per una vacanza studio (a loro volta composti da un fottio di studenti) e Cinesi e Messicani vari (immancabile presenza). Oltre alla fila, che è già lunga di per sé, i controlli sono altrettanto lunghi e scrupolosi. Chiedono tutto, prendono nota di tutto, anche del dettaglio più insignificante ma che – per loro, in caso di eventuale casino da te combinato – potrebbe tornargli utile. Prendono impronte digitali, retina oculare, peso, altezza e si segnano se hai dollari e/o moneta del tuo paese con te. Addirittura, il poliziotto che mi ha “sdoganato” mi ha chiesto perché avevo un nome da donna. Gli spiego che non va letto alla Francese – che Simone, scritto così, in Francese vuol dire precisamente Simona – ma all’Italiana e che quindi il corrispettivo Inglese è Simon: senza la E finale, che è con quella diventa femminile. All'aeroporto JFK arrivo alle 13:45 – quindi le nostre 19:45, la differenza di orario è di sei ore. Esco dalla dogana alle 15:00: fuso orario Americano. 


La Metro

Una volta uscito dalla dogana, mi dirigo ai treni. Orientarsi è parecchio difficile, anche avendo la cartina. La cosa semplice di New York, è che le strade sono tutte numeri e nomi: le strade verticali sono tutte nomi, quelle orizzontali sono tutti numeri, quindi anche senza Internet è facile muoversi poiché la città è tutta perpendicolare. La cosa brutta è che la metro, pur essendo servitissima e con numerose fermate, si intreccia continuamente con altre linee e confondersi è un attimo. Tra una cosa e l’altra, arrivo in ostello che sono le 17:30. Per farvi vedere un poco la strada che ho fatto, eccovi un bello screen da Google Maps.



La Banca

Arrivato in ostello, da quello che è successo scopro sulla mia pelle la doppia faccia di questa città. La prima cosa che chiedono è il pagamento, poiché New York è come la Svizzera: prima paghi, poi si può parlare. Apprestandomi al pagamento, scopro che la mia carta qui non funziona. O meglio, funziona, ma non tutti la accetto; è un po’ come le cambiali, non sono sparite, ma oggi è talmente difficile che qualcuno te l’accetti che non si usano praticamente più. Accedo quindi al mio servizio di Online Banking, ma il sito c’happrobblemi e non mi permette di spostare soldi dalla carta alla prepagata. Il panico. Chiamo i miei - visto che in Italia sono le 23:00 circa e tutto è chiuso – chiedendo se possono andare a fare questa operazione per conto mio domani mattina; ovviamente dicono di si. Rimane però il problema del soggiorno e, contando sulla carta, i miei contanti non sono sufficienti. Il tizio quindi decide di venirmi incontro, capendo insomma la mia prima esperienza in un paese così lontano da casa e che molte cose, per quanto ti informi, le potrai sapere solo quando sarai li. Pago una notte in contanti e il resto domani, tramite carta. E’ questa la doppia faccia di cui prima. In primis, viene la dura legge del dollaro; è come dicevano i Guns N’ Roses in Welcome To The Jungle: “If you got the money, honey, we got your disease”, ma a patto che tu abbia i money. Però, come ti vedono in difficoltà, i Newyorkesi - se possono - ti aiutano e cercano di venirti incontro. 

Da questo gesto comincio ad assaporare di persona uno degli aspetti che mi ha sempre affascinato di questa città: che alcune persone di questo paese non meritano il governo che hanno – qualsiasi tipo di governo, non solo quello Trump. Se avessero un sistema come il nostro, o quello Svedese, altro che otto milioni di persone: New York ne avrebbe ottocento, di milioni di persone.

Risolta la questione dell’albergo, vado nella mia camera – una da dodici letti, divisa con altre dodici persone – e cerco di sistemarmi. Sono esausto e l’unico pensiero è quello di dormire. Così tiro fuori il pigiama e tutto l’occorrente per dormire. Mi do una rifrescata e faccio il mio primo incontro con lo stereotipo. Siccome per entrare nella camera serve una carta talmente all'avanguardia che si smagnetizza ogni volta che starnutisci, ogni volta che esco o aspetto qualcuno dei miei “coinquilini” che mi apre, oppure devo bussare. Mi apre un Argentino (o un Brasiliano, era un po’ confuso al riguardo, dato che prima mi ha detto una cosa e poi l’altra) e facciamo conversazione. Mi chiede da dove vengo. Rispondo ovviamente Italia. Lui, ovviamente, dice: “Aaaaah! Italiano! Capisc’?” e mi fa il gesto:



Io mi metto a ridere e gli dico che non solo mi accontento che non mi abbia detto: “pizza, mafia, mandolino” ma che gli insegnerò ad usare correttamente quel gesto. Se proprio proprio ci devono sfottere con “le nostre armi”, che almeno le usino bene, che cazzo. 

Dopo questa breve parentesi sociale, lui e il suo amico mi invitano a bere, ma bidono subito perché il jetlag mi sta uccidendo. Saluto loro e, ancor più affettuosamente, il cuscino. Scrivo meglio ai miei e agli amici preoccupati per le lunghe ore di silenzio, spiegando i vari disagi incontrati, poi la morbidezza del materasso mi culla fino ad addormentarmi.

E’ stato veramente, ma veramente difficile, ma ora sono qui. 

Questa città è chiamata “La Grande Mela”. Le mele mi fanno schifissimo ma, vista il primo giorno, ho l’impressione che New York voglia mettermi alla prova. Beh, Grande Mela, di te lascerò solo il torsolo. 




- Symo

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