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mercoledì 28 giugno 2017

The Punisher: The End - la recensione (Baloon Central #115)

Oggi parliamo THE PUNISHER: THE END. Perché? Perché ne abbiamo voglia.


Dati Generali:
Testi: Garth Ennis
Disegni: Richard Corben
Volume Contenente: The Punisher MAX: The End (One-Shot)
Anno di Pubblicazione: 2004
Etichetta: Marvel Comics
Prezzo: 9,00 €

Trama:
La Terza Guerra Mondiale è scoppiata ed ha portato danni di proporzioni mastodontiche al pianeta. La razza umana è quasi estinta e la Terra è diventata una desolata e desertica landa contaminata dalle radiazioni. In questo scenario post-atomico, riesce a sopravvivere Frank Castle, meglio conosciuto (in tempi migliori) come Il Punitore: solerte e spietato flagello dei criminali. Vecchio e stanco, il vigilante parte per la sua ultima missione, attraversando il continente Americano pregno di radioattività per fare quello che sa fare meglio: punire.

Il Mio Parere:
Erano i primi anni 2000 e la Marvel si stava risollevando dagli Anni '90 - decade che mise in ginocchio un po' tutta l'industria del fumetto Statunitense - tentando la via dell'azzardo con iniziative rivoluzionarie (vedi l'Ultimate Universe). Oppure assumendo, nella propria scuderia, audaci autori di fumetti come Grant Morrison o Warren Ellis, affidando alla loro penna i loro più celebri personaggi, sperando in una gestione che portasse un po' di aria fresca nelle testate. Tra questi autori e queste iniziative, abbiamo Garth "Preacher" Ennis - messo strategicamente su The Punisher per la sua verve irriverente e affinità con le tematiche del personaggio - e l'iniziativa The End: serie di one-shot e/o miniserie che immaginavano l'ipotetica fine definitiva fine di alcuni personaggi Marvel. Quando The End e la penna di Ennis in modalità Punitore si incontrarono, ne uscì questa storia che, senza mezzi termini, si può considerare una delle cose migliori fatte sul Puni e prodotte da Garth Ennis.


Pezzo forte di questo one-shot di 48 pagine, è la linearità della storia, tanto lineare da essere quasi semplicistica e banale. Già dalla trama uno può pensare che ci si trovi davanti alla classica cagata reazionaria di metà Anni '80, con la paura della guerra nucleare tipica della Guerra Fredda a fare da ipotetico scenario trasformatosi in terrificante realtà. E invece, proprio questa trama dalle premesse molto solide e con un idea precisa su dove andare a parare, è il miglior strumento con cui lo sceneggiatore Garth Ennis riesce a descrivere e a veicolare caratterizzazioni e motivazioni che spingono il protagonista nella sua missione. Frank Castle è un uomo solerte, deciso e sicuro di sé e dei suoi mezzi, talmente ossessionato dalla sua missione di uccisione dei criminali, da attraversare addirittura venti chilometri di territorio radioattivo pur di punire i colpevoli che stanno dietro allo scoppio della Terza Guerra Mondiale. Una tipica frase fatta da Bacio Perugina, diceva che sono le situazioni peggiori a rendere le cose straordinarie, e nessuna situazione è peggio di un uomo che si muove senza protezioni in un mondo in ginocchio dall'olocausto nucleare, solo per ucciderne un altro. Come diceva Batman in Batman Begins: "non è ciò che sono, ma è quello che faccio che mi qualifica" e come qualificano il Punitore in The Punisher: The End, penso l'abbiano fatto ben poche storie. Le sue azione fanno seriamente ragionare il lettore su cosa è disposto un uomo pur di non tradire i propri valori e che livelli può raggiungere la sua dedizione verso essi. Altra grande sorpresa, però, è un ribaltamento di tematiche.


Se tendenzialmente il Punitore veniva additato da metà del suo cast di comprimari (e da altri colleghi in calzamaglia) per via dei suoi metodi "poco cristiani", i "villain" di questa storia (anche se di villain non si può parlare) vengono dipinti quasi peggio di lui. Frank Castle - per la sua decisione di uccidere i criminali con la tortura, fantasiosi mezzi di omicidio, o una semplice pioggia di proiettili - è sempre stato etichettato come un immorale sadico e mostro psicopatico; secondo ogni suo comprimario, ogni criminale dovrebbe essere messo in galera e rimanere li fino a marciare, cosa su cui Castle discorda abbastanza, finendo per ucciderli perché non ritiene la galera sufficiente, preferendo di gran lunga spedirli all'inferno. Ebbene, il Puni qui ha a che fare con quelli che hanno fatto scoppiare la Terza Guerra Mondiale, finendo per interagirci e conoscere le motivazioni. Una volta rivelate al lettore tali motivazioni, non può che innescarsi nella sua mente un processo di confronto mentale che in questa recensione (per non spoilerare troppo) possiamo grezzamente riassumere col detto: "l'abito non fa il monaco", facendo in modo che la storia suggerisca al lettore di ragionare su questa tematica. Il Punitore fa uso di metodi violenti, risoluti e socialmente inaccettabili; però quello che fa è sostanzialmente del bene, eliminando dalla società delle sicure piaghe sociali. Al contrario, persone altolocate (e magari pure a capo del governo) che professano la giustizia morale ed emettono fior fior di mandati di cattura per persone come il Punitore, pubblicamente attuano la cosa giusta, ma segretamente la fanno in barba alle classi medie, portando la letterale distruzione del sistema. Il Punitore ha, insomma, così tanto torto? E chi dice di difenderci da persone come lui, dice di proteggerci con la serie intenzione di farlo? Questi discorsi sono veramente tutti bianchi e neri? E' giusto avere una visione del mondo così scompartimentata? Intanto che il lettore trova la sua risposta, un piccolo aiuto per lasciarsi ispirare dalle matite di Richard Corben.


Ci sono persone che, sicuramente, sono nate per uno scopo preciso nella vita. Non dico che quello di Corben era disegnare The Punisher: The End, ma poco ci manca, poiché senza le sue matite, la storia non avrebbe avuto lo stesso effetto. Per quanto le tematiche che si possono tirare fuori da una storia post-apocalittica siano interessanti, l'occhio vuole la sua parte e la realizzazione grafica di scenari e location è importante. Con il suo stile underground, duro, grezzo e fortemente "heavy metal", il disegnatore riesce a catturare perfettamente la grigia, desolante e mortifera atmosfera di un olocausto nucleare; e lo fa così bene, che quasi il lettore può sentire il polveroso olezzo della cenere nelle narici e sentire nello stomaco la pesantezza che trasmette l'aria rarefatta, o il fastidio agli occhi per via il cielo grigio piombo. Ogni tavola s'imprime nella mente del lettore per il loro terrificante e incisivo realismo e per la impressionante cura di ogni macabro dettaglio delle vignette. Per la loro precisione, più che dei disegni messi in sequenza, alla fine il lavoro grafico di Richard Corben sembrerà più un album di fotografie provenienti da uno spettrale futuro. 

Conclusioni:
Una delle migliori storie del Punitore, oltre che uno dei migliori lavori di Garth Ennis e Richard Corben, che qui hanno sfoderato una sinergia che raramente si è vista nei fumetti. Must have!

- Symo

2 commenti:

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